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Una tecnologia diversa è indispensabile: guida interpretativa ad uso di studenti frastornati e studentesse incazzate delle lauree informatiche

Ho 31 anni. Si potrebbe dire che forse è presto per scrivere a chi ora studia, con l'aria dell'uomo vissuto e magari con un pizzico di paternalismo. Tuttavia oggi mi sono chiare tante cose che non lo erano quando, sprovveduto, iniziavo ad approcciarmi non solo alla bolla che è l'università, ma alla comunità globale di persone che producono tecnologia. Un mondo completamente diverso da quello che si trova all'esterno, con le sue regole, le sue dinamiche e i suoi rituali, spesso totalmente opachi ai non iniziati o raccontati in maniera distorta dai media.

Ho 31 anni e seppur ormai i tempi dello studio universitario siano un capitolo ampiamente chiuso, la memoria è sufficientemente fresca per provare ad interpretare le generazioni venute dopo la mia e poter condividere concetti e idee nonostante la distanza che ci separa. Lo faccio ora per paura che presto non potrò più riuscirci.

Osservo i più giovani e vedo una generazione incazzata e per buone ragioni: chi è venuto prima di noi ha distrutto l'ecosistema, l'economia, le comunità e la psiche collettiva. A voi il compito di raccogliere i cocci. Al contrario della mia generazione, voi avete un enorme vantaggio: se la morte della speranza ha immobilizzato i miei coetanei in una forma di depressione ironica in cui nessun tipo di azione seria può essere intrapresa, per voi l'assenza di speranza significa esseri liberi di plasmare il vostro futuro. Un'energia derivata dalla consapevolezza che nessuno verrà ad aiutarvi. La libertà ottenuta dalla presa di coscienza che chi è venuto prima di voi era folle e sconsiderato: noi abbiamo ancora il dubbio, voi avete la certezza.

A voi interessa entrare da protagonisti nel mondo della tecnologia (si direbbe IT, ICT o altre parole aliene, che io alla vostra età non capivo bene e quindi non uso). Come tutti gli informatici e gli ingegneri prima di voi siete probabilmente attratti dalle infinite possibilità offerte da un processore e un po' di RAM, o magari da una stampante 3D, un Arduino, un drone. Solo alcuni di voi probabilmente però pensano già alle conseguenze di queste possibilità, al peso della responsabilità che viaggia insieme a certe competenze. Per ora non è un problema, ma lo diventerà quando dovrete uscire dall'università e decidere come spendere il potere derivato dalle vostre conoscenze.

La comunità delle informatiche e degli informatici sta bruciando. Al contrario degli incendi in California e in Brasile, questo fuoco non distrugge indiscriminatamente ma sanifica ciò che non è stato possibile aggiustare. Le piromani siamo noi. Vogliamo bruciare tutto ciò che di perverso e abominevole è stato costruito negli anni per rendere la comunità un posto più accogliente per chi verrà dopo di noi.

Per voi questo conflitto è probabilmente illeggibile come lo era per me alla vostra età, in cui era possibile osservare solo le prime schermaglie tra nuove idee esplosive e vecchie concezioni fallimentari. Ne potete vedere alcuni sintomi, arrangiati in maniera confusa davanti ai vostri occhi: appaiono sui forum e sui social, sui siti di notizie tech, più raramente in film e documentari. Voglio quindi cercare di condividere la mia visione, spiegata sperabilmente con parole e modi che possano raggiungervi.

Le schermaglie nelle trincee

Il mondo occidentale si sta ri-politicizzando dopo decenni di apatia e così anche la tecnologia. Fasce sempre crescenti di popolazione sono state abbandonate a loro stesse in una società in cui non avevano posto. Il meccanismo non poteva reggere per sempre e ora il processo si sta invertendo. Le cazzate che si raccontavano nei decenni scorsi non reggono più. Nel momento critico per combattere il collasso ecologico e il collasso sociale ci si è ripetuti allo sfinimento che la politica era finita, che la buona amministrazione avrebbe mantenuto a galla le nazioni, che la gestione, rigorosamente dall'alto, di tutto ciò che è condiviso e sociale era una questione tecnica, di tirare le leve giuste e non era un problema dei cittadini: “lasciate fare ai politici, lasciate fare agli economisti, lasciate fare a chi sa fare. Guarda come vanno su gli indici di borsa. Guarda come vanno su i grafici. Non è questione di opinioni: sono numeri!“. Dopo decenni della stessa cantilena, siamo sull'orlo del baratro.

Il mondo della tecnologia non è diverso: le stesse bugie sono state raccontate e continuano ad essere raccontate. “Più tecnologia salverà il mondo, continuate a battere tasti e ci salveremo”. Gli effetti probabilmente vi sono già noti: una manciata di oligarchi dei social ha potere di influenzare le elezioni delle nazioni occidentali, un algoritmo decide chi arriva a fine mese e chi no, tutto ciò che fate su internet viene osservato, analizzato e monetizzato. Gigantesche server-farm in Georgia o in Islanda frullano a vuoto consumando porzioni considerevoli della produzione energetica mondiale per tenere in piedi il sistema BitCoin, senza che nessuno vi abbia mai trovato un'applicazione veramente utile oltre al comprare droga su internet. Tanti hanno in casa microfoni che li ascoltano per capire come vendervi nuovi prodotti che probabilmente non vi servono. Nel mentre, l'ennesima startup cerca di vendervi un app per ricordarvi di bere. Fra qualche decennio alcuni di noi potrebbero essere in un campo profughi fuggendo da una guerra combattuta per l'acqua che queste app vi ricorderanno di bere.

Per voi è giustamente follia e lo è anche per me. I futuri descritti dagli scrittori di fantascienza, in cui le macchine vengono usate per schiavizzare le persone e non per liberarle, quei futuri sono già ora e non tutti se ne sono accorti, perché ci sono cresciuti dentro, ci sono arrivati piano piano, questo sistema l'hanno costruito con le loro mani. Ammettere di aver sbagliato, ammettere di esser stati presi in giro è molto più difficile che continuare sempre sulla stessa strada e lanciarsi felicemente nel baratro.

Le promesse di un mondo migliore costruito tramite un eccesso di tecnologia, tradite tanto dai governi quanto dai CEO della Silicon Valley, gridano vendetta. Quel mondo migliore è ancora possibile, prima o dopo il collasso.

Il cambiamento, in ogni caso, è già in corso. La tecnologia sta venendo ri-politicizzata. Sempre più persone capiscono che noi creatori di tecnologia dobbiamo essere responsabili delle conseguenze di ciò che facciamo. Non gli altri, non imprenditori spregiudicati, non governi autoritari, non tutti quelli che sfruttano le nostre opere per i propri fini perversi, ma noi e soltanto noi. Non possiamo rimanere eternamente bambini. Non possiamo piegarci continuamente ai desideri di altri, che per profitto o per potere, decidono le direzioni in cui la tecnologia deve andare, spacciando la cosa come un processo neutrale e inevitabile. La decisione è nostra.

Cosa fare con la tecnologia, a chi giova e come trasforma il mondo non lo decide la tecnologia stessa, lo decide il sistema che la crea. Questo sistema va cambiato e lo stiamo cambiando.

L'assedio ha inizio

Torniamo coi piedi per terra e parliamo dei sintomi a cui si accennava prima e vediamo di mettere un po' di ordine in ciò che ci passa davanti.

Esistono numerosi conflitti aperti, che si intersecano, si sovrappongono e che danno vita a realtà estremamente complicate, soprattutto per chi vi si sta affacciando ora.

Il primo conflitto è tra i difensori di un'idea di tecnologia non politicizzata davanti alla crescente onda che pretende un cambiamento. Questi sono tanto i grandi CEO delle aziende tech quanto il sistemista un po' burbero e anzianotto che ha trovato la sua posizione comoda e sicura nel mondo attuale e su internet difende a spada tratta i valori con cui è cresciuto: la tecnologia è tecnologia, non ha colore politico, la colpa è di chi la usa e come. Comprendere perché queste persone si comportano così è fondamentale: ignorare la dimensione politica della tecnologia è il modo migliore per ignorare il proprio ruolo e le proprie responsabilità. Che tu sia Mark Zuckerberg, un programmatore C# in consulenza residente a Varese o un tech bro che lavora in Amazon a Seattle non importa, rimanere il bambino che gioca coi LEGO sul tappeto è un privilegio a cui questa persona non rinuncerà mai, perché il benessere psicologico, il senso di sicurezza e beatitudine sono troppo importanti per essere messi in discussione da un libro o da un collega che cerca di ampliare le loro vedute. Non perdete tempo con loro, non cambieranno. Prendete la loro aggressività per quello che è: la reazione di un privilegiato che vede messo in discussione il mondo che gli ha dato quel privilegio.

Il secondo conflitto è tra chi concepisce un solo modo di produrre la tecnologia (il proprio) e chi vuole portare diversità e inclusività nel settore. Questi termini, purtroppo, li vedrete usati e abusati dalle aziende per farvi credere che assumere una manciata di donne di colore per far vedere quanto si è “equi ed etici” sia il fulcro della discussione. Ovviamente non si sta parlando solo di questo. Il settore, almeno dagli anni '60 in California, è stato pesantemente condizionato dalla cultura e dai modi della cricca, relativamente piccola e omogenea, che ha, a cascata, determinato le norme sociali e ideologiche di chi è venuto dopo. Maschi americani, tendenzialmente con poche skill sociali, con una formazione tecnica e con un immaginario costruito sugli stessi libri di fantascienza, gli stessi fumetti, gli stessi film. Una monocultura umana che ha posto le radici per la tecnologia che conosciamo oggi. Spargendosi nel resto del mondo questa cultura è stata adattata, a volte mitigata, a volte accentuata ma proprio perché così isolata e distinta e poiché si è propagata in maniera estremamente veloce (anche tramite i mezzi digitali creati da queste stesse persone) è facilmente identificabile in ogni paese in cui è arrivata. Tutta la storia dell'informatica, anche quando politica, si è svolta in una scatola mentale costruita da questi individui nella Silicon Valley decenni fa.

Negli ultimi due decenni (e forse anche prima) la situazione ha iniziato a cambiare. Prima piccoli gruppuscoli di dissidenti hanno iniziato a pensare fuori da questa scatola e poi gruppi sempre più nutriti, con norme sociali differenti, priorità differenti, processi di produzione differenti, parole differenti. Hanno iniziato a ricavarsi i propri spazi e ad allargarli, continuando a crescere. Dalla creazione di spazi alternativi si è passati all'attacco, per cercare di smuovere le coscienze anche al di fuori, per diventare la nuova norma e rimpiazzare quella vecchia. La battaglia oggi infuria e il frastuono delle spade che si incrociano riecheggia nei forum, nei repo di github, nelle chat di Telegram. Cosa c'è da vincere in questa battaglia? Voi. Le nuove generazioni sono il premio che andrà al vincitore. Gli si lascerà una comunità incapace di reagire ai cataclismi esterni e immobile, che si riproduce sempre uguale, in cui solo i maschi burberi sono tollerati oppure una comunità in cui più voci sono possibili e in cui queste voci possono trovare piena espressione per aiutarsi e per aiutare chi la tecnologia la usa?

Nella pratica questo si traduce nel modo in cui gli spazi della comunità vengono regolamentati, quali comportamenti sono tollerabili e quali considerati tossici e distruttivi, quali sono i valori fondamentali. La speranza è che sia finito il tempo in cui i neofiti vengono filtrati e selezionati in base alla loro capacità di farsi urlare addosso senza reagire, in cui una divergenza di opinioni è meritevole di insulti personali col pieno supporto della comunità, in cui il fallimento è una colpa e in cui ognuno deve dimostrare il proprio valore alla comunità tramite rituali e ordalie necessarie. Per troppi anni si è fatta confusione: questo sistema non crea professionisti migliori ma esclude tutti quelli che non sono capaci di conformarsi al dogma del “macho” individualista.

Quello che si può osservare, la punta dell'iceberg, è ad esempio la reazione scomposta di alcuni quando si accenna al fatto che insultare una persona inesperta per le proprie mancanze crea un ambiente tossico, ostile, che reprime chi non vi può sopravvivere. Oppure i confusi appelli alla libertà di parola quando qualche conferenza introduce regolamenti che proibiscono di aggredire verbalmente il prossimo. O ancora, quando si suggerisce che urlare di leggere un manuale non è un modo di supportare chi sta studiando e ancor meno chi vuole usare un software. Se un grado elevato di autonomia è necessario per qualsiasi competenza tecnica e il risultato di qualsiasi processo di apprendimento, arrivarci puramente tramite lo sforzo individuale, in isolamento, senza appigli, è un rituale necessario per essere accettati nel gruppo. Di certo non è un metodo didattico valido.

Tenete sempre a mente che queste discussioni non avvengono nel vuoto, ma all'interno di un conflitto molto più ampio.

Il terzo conflitto è sulla natura del lavoro informatico. Per decenni i sistemisti, le programmatrici, i grafici e tutte le professioni tecniche e creative coinvolte nella produzione software si sono considerati come imprenditori di sé stessi, al servizio del miglior offerente disposto a pagare adeguatamente i servizi offerti. La connessione con il prodotto del proprio lavoro era transitoria, come può essere la connessione tra un avvocato e un cliente, tra un elettricista e una centralina, tra un idraulico e un tubo. Alcuni, particolarmente tenaci, riuscivano a trincerarsi in nicchie sicure all'interno di questo vorticoso mondo fatto di progetti corporate che nascono e muoiono nell'arco di mesi, di startup che falliscono, di pessime idee poste di fronte al mercato nella speranza che qualcosa attecchisca, con un immane spreco di energie (le nostre) e di capitali, spacciando tutto questo processo come necessario. Questa stessa mentalità è stata trapiantata in Italia e distorta dai tratti culturali e sociali locali: il nomadismo del lavoratore tecnologico si è mischiato al feudalesimo della piccola-media impresa italiana, in cui un padroncino con spiccato accento veneto comanda a bacchetta una schiera di sottoposti che da un lato viene raccontata come i programmatori californiani privilegiati, all'avanguardia, con in mano le chiavi del mondo e dall'altro come una professione ingrata, umile, pagata il minimo necessario. Al di qua delle Alpi, molti hanno come principale ambizione di diventare il nuovo padroncino o perlomeno un manager, appena al di sopra dei rematori che mandavano avanti la barca.

Questa contraddizione fa comodo a chi vuole continuare a pagare stipendi bassi, a normalizzare gli straordinari, a far fare le cose di fretta, male, sotto pressione, per incassare i soldi dell'appalto e passare all'ennesimo software fatto male, che andrà a rimpiazzarne un altro fatto egualmente male da aziende che seguono la stessa logica. Nel mentre le energie mentali di intere generazioni di informatici vengono immolate per continuare a mandare avanti questa macchina perversa. I profitti ovviamente rimangono tutti in alto e coi tempi che corrono si deve ringraziare di avere un contratto indeterminato. Oltre al danno, la beffa.

Per fortuna anche su questo versante il conflitto è aperto: a questa visione fatta di isolamento, sfruttamento e software inutile se ne sta contrapponendo un'altra, dove chi produce il software è un lavoratore e si considera pienamente tale, connesso con il risultato della propria attività e i suoi impatti sul mondo.

Stiamo vedendo proteste, scioperi, movimenti di lavoratori, sindacalizzazioni che stanno scuotendo il settore in America e nel resto d'Europa. Nuove generazioni di lavoratori digitali scontenti di come stanno ora le cose e determinati a cambiarle. In ballo c'è il futuro del mondo intero, quel futuro fatto di benessere condiviso che la tecnologia non è riuscita a darci. Non fatevi ingannare: voi domani ci sarete in mezzo e chi vi è in mezzo oggi non è diverso da voi. Sta succedendo e sta succedendo ora, anche se in Italia tutto questo, come sempre, arriva sempre un po' in ritardo.

Il quarto conflitto, che sta attraversando la nostra società tutta, è tra chi considera il lavoro un valore in quanto tale e chi lo considera un problema. In qualsiasi società antecedente alla nostra il lavoro era visto come una cosa sporca, necessaria ma da evitare per quanto possibile. Ancora in molte culture questo spirito di resistenza al lavoro sopravvive. Fare il minimo necessario per raggiungere il benessere materiale e poi fermarsi, sia come individui, sia come società. Se si fa qualcosa in più oggi è per lavorare di meno domani. Se si innova è per avere lo stesso benessere lavorando meno.

Per motivi tanto religiosi quanto economici e politici, questo meccanismo ha iniziato a rompersi circa un secolo fa e a prescindere dal benessere raggiunto, il lavoro è tornato ad aumentare. Non per produrre alcunché ma semplicemente per mantenere l'illusione che sia necessario il lavoro di tutti, così da dare a tutti l'occasione di mostrarsi meritevoli sacrificando buona parte della propria vita sull'altare del lavoro. Fintanto che qualcuno ti paga, si crede che il tuo lavoro serva a qualcosa o non ti pagherebbero. Nel frattempo si continua a lavorare a vuoto, produrre sempre più cose inutili, consumate a causa di desideri prodotti per la necessità di consumare. Ogni passaggio di questo ciclo consuma risorse naturali e umane, inquina, distrugge. Il mondo va a fuoco e andiamo in giro con un lanciafiamme per paura che il fuoco si spenga.

Panorama Solarpunk – by ImperialBoy

Ripensare il lavoro per ridurlo al minimo possibile non è solo un obiettivo politico come lo è stato per più di un secolo ma oggi è diventato un imperativo: l'alternativa è l'estinzione. Noi, come tecnici, siamo in una posizione particolare: il nostro lavoro può essere utile. Utile a creare un'alternativa, utile a disinnescare questi meccanismi, utile a supportare la costruzione di una nuova società in cui lo scambio efficiente di informazioni digitali non sia usato per accelerare verso il baratro ma usato per coordinare un sistema che porti benessere a tutte e tutti. Siamo in una delle posizioni chiave, ma abbiamo le mani legate, perché questo cambiamento non possiamo portarlo da soli.

La vostra generazione, sperabilmente, troverà un piccolo solco già tracciato, da seguire e allargare, per liberarsi dal lavoro inutile e da chi lo propone. Un solco fatto di tecnologie intersecate con una visione politica chiara, supportate da e in supporto di cambiamenti sociali profondi.

L'assalto alle mura

Tutti questi conflitti sono i sintomi di cambiamenti più ampi che si riflettono sul mondo della tecnologia. Cambiamenti ancora tutti da costruire e portare avanti: il vecchio mondo sta morendo e non è chiaro come sarà il prossimo. I risultati li vedremo fra qualche decennio, quando questi cambiamenti si saranno sedimentati e ci si potrà guardare indietro, ma bisogna essere risoluti: il nostro tempo critico è ora.

Avete un'enorme fortuna: la vostra generazione vive con un timer sulla testa. Come il prisma dei Sims, vi segue ovunque andiate. Il timer segna quanto manca al collasso. Non è importante quale sia il valore, quanti anni, mesi o giorni manchino. Ciò che conta è il timer stesso: può produrre ansie, paure, forse terrore, ma è anche e soprattutto fonte di energia, quella dell'animale chiuso nell'angolo, la scarica di adrenalina che arriva da una ferita e che può dare lo slancio per mettersi in salvo. La consapevolezza che ci sono solo due scelte: azione o morte. La passività non è contemplata.

Solarpunk Greenhouse – by Liv Jeremiah

Concludo con un auspicio: spero che ciò che sto vedendo nascere, le persone che prenderanno in mano ciò che oggi la mia generazione sta creando, siano all'altezza delle aspettative. A voi che creerete la tecnologia di domani auguro di avere la forza, la coesione e la risolutezza che sono così difficili da far sgorgare nella mia generazione. Spero che la vostra rabbia bruci a lungo e più intensa dei roghi della Siberia o del Sud Italia. Per trasformare questa rabbia in cambiamento, è fondamentale che continuiate a studiare, non solo le materie tecniche, ma anche il mondo che vi sta intorno e ciò che viene scritto su di esso. Questi problemi sono stati creati con il supporto di tante e tanti come voi, venuti prima di voi, a cui è stato fatto credere che il loro dovere era esclusivamente di concentrarsi sugli aspetti pratici della tecnologia. Non cascateci: leggete di filosofia, di politica, di sociologia, di economia, di ecologia, di arte. La conoscenza rende liberi e questo mondo non può più sostenere una generazione di tecnici incatenati all'ignoranza.

Una nuova tecnologia non solo è possibile, ma è indispensabile. Non esiste alternativa.


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