LinkedIn e l'egemonia neoliberista: un campo di battaglia con un solo esercito
Warning: in questo articolo dico la parolaccia con la “E” parecchie volte. Siete avvisati.
Class war has continued to be fought, but only byone side: the wealthy. ci dice Mark Fisher in Capitalist Realism commentando il lavoro di David Harvey. Una sensazione condivisa da chiunque abbia un minimo di prospettiva storica su quanto è successo dal '68 ad oggi.
Sensazione che diventa improvvisamente soverchiante per chiunque usi abitualmente LinkedIn come piattaforma social e non solo come sito di annunci di lavoro. Considerato il “social network del business”, LinkedIn impone passivamente una forma di controllo sistemico agli utenti: per la paura di esser visti dal proprio datore di lavoro (attuale o futuro) ad esprimere opinioni controverse, ci si autocensura. Si riproduce online la stessa attitudine che si ha sul posto di lavoro. Nulla di stupefacente: ogni lavoratore, sopratutto se qualificato, vuole evitare di rovinarsi la reputazione e mettere a repentaglio le sue possibilità di non finire sotto un ponte a bere Tavernello alle undici del mattino.
Questa forma di controllo viene messa regolarmente in discussione da una piccola e colorita minoranza di utenti, ben connessi e spesso impiegati in lavori qualificati o di responsabilità, che si permette di postare immagini di Mussolini, Padre Pio o altre figure più o meno nazional-popolari con un grado variabile di accettabilità sociale. Vi invito a fare un safari su LinkedIn cercando parole chiave collegate. Non è però questo ciò che ci interessa oggi.
Vorrei invece invitarvi a riflettere su come questa attitudine, replicata su scala globale in un social network con centinaia di milioni di utenti, sia andata a creare dinamiche di circolazione dell'informazione con tratti peculiari. Questi tratti hanno favorito la diffusione esclusiva delle forme ideologiche consone all'ambito lavorativo, che nell'Occidente del 2019 si traduce nell'egemonia neoliberista con le sue narrative sulla natura del lavoro e dell'imprenditoria, la sua prospettiva predatoria dell'industria sulla società, la giustificazione di qualsiasi bruttura in nome del profitto, ma tutto solo se mascherato dalla giusta dose di buzzword e sorrisi.
Il “capitalismo col sorriso” su LinkedIn non deve confrontarsi con nient'altro: non è egemonico, è totalizzante. E il sorriso è quello forzato delle stock photo. Grandi pacche sulle spalle da parte di tutti i partecipanti e parole di incoraggiamento per progetti che sembrano partoriti dalla mente di un fumettista poco creativo nell'immaginarsi il super-villain di turno.
Perché questo ci interessa? Ci interessa perché, tesi mia, LinkedIn è il punto di accesso a quella classe che nel nostro sistema economico, attua nella pratica i desideri del Capitale, il clero che manda avanti questo “Stalinismo di Mercato”, ripetendo rituali improduttivi per tenersi eternamente occupati e soddisfare necessità simboliche create dal Capitale per riprodursi e giustificarsi. Un taglio trasversale tra la classe manageriale, i lavoratori della conoscenza, i piccoli imprenditori e i professionisti di settore, tutti asserviti e operosi nel produrre burocrazia per sé stessi e per gli altri. Queste persone su Linkedin discutono, si formano opinioni e sono immerse in una echo chamber enorme che le spinge a rinforzare gli elementi di sperpero materiale e mentale delle proprie attività lavorative, così come quelli autodistruttivi verso sé stessi.
LinkedIn permette di porre loro domande e mettere in dubbio queste narrative di fronte ai diretti interessati, quelli che materialmente spostano capitali, redigono documenti, fanno pressioni politiche, investono o sviluppano.
Le persone qui descritte sono, a mio parere, un perno necessario all'egemonia e al capitale per riprodursi e sono al tempo stesso quelle più profondamente e direttamente immerse nell'ideologia neoliberista. Una middle-middle class, a metà strada tra i “ricchi” che dall'egemonia traggono profitto e la middle-class che il neoliberismo vuole eliminare.
Ok, ho abbozzato una descrizione un po' fumosa di una specifica sotto-categoria sociale. Ma cosa ce ne facciamo di questa informazione? Che spunti ci può dare concettualizzare l'esistenza di questa oasi incontaminata? Beh, ho detto la parola “egemonia” fin troppe volte in così poche righe e non ho abbastanza qualifiche o credibilità per dirla ancora. E però la dico lo stesso: portare la battaglia per l'egemonia su LinkedIn appare, a mio parere, una strategia tanto ambiziosa quanto necessaria per catturare una parte di popolazione in una posizione chiave nella società moderna e totalmente alienata dalla critica e dal malcontento. LinkedIn va incluso al pari se non più di Facebook nelle strategie di comunicazione della Sinistra e non ignorato come un feudo della classe manageriale o ancor peggio, ridotto ad un sito per cercare o offrire lavoro.
Nella mia personale esperienza, andare all'estero e avere datori di lavoro incapaci di leggere l'Italiano e probabilmente poco propensi ad usare un traduttore automatico per giudicare le mie opinioni online, mi ha liberato dal controllo psicologico descritto all'inizio dell'articolo. Ho quindi iniziato, in maniera spontanea, a tirare bombe in thread relativi alla tecnologia o al mondo del lavoro, dove l'attitudine diffusa era di autocompiacimento e forzato ottimismo, mettendo in discussione i presupposti e la visione del mondo dell'articolo o del commentatore di turno. Il pattern, osservato più volte, è stato che questi interventi hanno attirato molti più like del post stesso o degli altri commenti, talvolta anche stimolando qualche commento di supporto. Forte è la percezione che ci sia una frazione silente dell'utenza che non vuole esporsi o che non ha le parole per elaborare il suo dissenso. Anche qui, niente che non si sia già visto altrove.
Tutta quest'energia, che su Facebook si esprime in una polarizzazione estrema delle posizioni con una fondamentale impossibilità di dibattito, in LinkedIn rimane repressa, potenziale. Il mio invito è a prendere consapevolezza di questa energia, perché probabilmente se ne potrebbe trarre molto di utile e portare cambiamento in contesti sensibili che, ad oggi, non sembrano vaccinati contro l'esposizione a posizioni contro-egemoniche.