Cosa è casa
Io e mia moglie abbiamo fatto l’emigrazione più semplice che ci sia. Abbiamo fatto uno spostamento di tre ore di auto, in un posto dove si parla la nostra lingua madre, dove non abbiamo avuto grandi difficoltà burocratiche (essendo cittadini UE) e in una condizione di relativa sicurezza economica. Un’emigrazione di privilegio, una passeggiata di salute rispetto a tante altre persone che lasciano la loro casa e vanno verso l’ignoto o quasi.
Ciononostante, anche la nostra è stata emigrazione e anche noi quando siamo arrivati qui siamo stati spaesati per diverso tempo. La lingua sarà anche la stessa e la distanza non sarà così grande, ma il Canton Ticino non è decisamente Italia, te ne accorgi subito. Anche se non sei dall’altra parte del mondo, non hai più il tuo tessuto sociale, che era una cosa naturale e che davi per scontata nel posto dove eri prima. Intendo anche cose che possono sembrare secondarie ma sono tremendamente utili, come un elettricista di fiducia. Poi a un certo punto ti nasce un figlio e ricomincia lo spaesamento. Non hai vicino la famiglia a supportarti e sopportarti e dovete quindi fare affidamento solo su voi due. Il figlio pian piano veloce veloce cresce e il tessuto sociale si è ormai formato. Sei a casa ora?
Mi sono spesso chiesto, come tutti gli immigrati, cosa voglia dire casa per me. I miei genitori si riferiscono a me, mia moglie e mio figlio come gli svizzeri (“la settimana prossima arrivano gli svizzeri”), un appellativo che potrebbe far storcere il naso a più di una persona qui in Ticino e in Svizzera, una di quelle persone che pensa che se non sei patrizio, sei foresto. Il concetto di casa è uno dei più complicati e soggettivi che ci sia, ognuno pensa alla sua casa, o quella che pensa sia la sua casa, in modo diverso. Ci sono anche persone che dichiarano di non avere una casa, anche se abitano nello stesso posto da quando sono nate. È un concetto soggettivo, intimo, delicato.
Mio figlio è nato qui, sta crescendo qui, sta andando a scuola qui e probabilmente farà il servizio militare obbligatorio qui. Questa è casa sua, non ci sono dubbi. Io e mia moglie siamo arrivati da fuori, ci siamo acclimatati e amalgamati, abbiamo allegramente abbracciato le usanze locali e il nostro italiano si è anche modificato con i vocaboli locali (non dico più cartella, per me è mappetta). Io sono nato e cresciuto nella pianura più piatta, nel regno della nebbia; quando siamo arrivati qui, i primi tempi mi sembrava di essere in vacanza perché la mattina aprivo le finestre e vedevo le montagne così vicine! Poi è arrivata la sensazione di claustrofobia. Queste montagne sono così vicine eh! Dov’è l’orizzonte? Non vedo più il sole che tramonta! Poi, per fortuna, è arrivata la sensazione di protezione. Queste mie montagne così vicine che delimitano il mio quotidiano, che piacevole sensazione di accoglienza.
Per quanto mi riguarda, quando in macchina da sud verso nord sbuco fuori dal tunnel autostradale del Ceneri o da nord verso sud vedo l’uscita Bellinzona Sud, sento di essere arrivato a casa. Casa per me è dove sei accettato, dove hai un percorso chiaro (anche se lungo e costoso) per la cittadinanza, dove torni volentieri dopo un viaggio, dove ti senti parte della comunità e ti interessa il benessere della comunità. Oggi se penso a casa, penso a dove sono ora, non dove sono nato e cresciuto. La casa, una persona può capitarci per caso nascendo in quel posto o può scegliersela. Io me la sono scelta, mio figlio in futuro potrà scegliersene un’altra.