#12 La paura dell'ignoto.
Nel silenzio delle stelle, c'è sempre stato un timore profondo, una paura sussurrata nei recessi più oscuri della mente umana. È la paura dell'ignoto, la paura di ciò che non si comprende, e in quel timore nasce spesso l'aggressività. 'Arrival', diretto da Denis Villeneuve nel 2016, porta questa paura in primo piano, tessendo una storia che non è solo di alieni, di linguaggio o di tempo, ma di ciò che significa veramente guardare al di là del conosciuto e del confine dell'umano. L’umanità, posta di fronte a un enigma cosmico, risponde non con curiosità, ma con terrore.
Gli alieni arrivano senza fanfare, in silenzio, con una presenza imponente e inesplicabile. Dodici navi monolitiche appaiono in luoghi apparentemente casuali sulla Terra, sospese nell'aria come obelischi di un altro mondo, testimoni di una realtà che sfugge alla nostra comprensione. Non attaccano, non comunicano immediatamente, semplicemente sono. E questo essere è sufficiente per gettare l'umanità nel caos. Il mondo reagisce con apprensione, un'ansia collettiva che si tramuta rapidamente in ostilità, una risposta tipica di fronte a ciò che non si riesce a spiegare.
La dottoressa Louise Banks, interpretata da Amy Adams, diviene il ponte tra queste due realtà. Lei, una linguista chiamata a decifrare il linguaggio degli alieni, si trova a confrontarsi non solo con il mistero del linguaggio extraterrestre, ma anche con le paure più profonde degli esseri umani. L'ignoto non è solo rappresentato dai visitatori, ma anche dalla complessità stessa del tempo, dell'esperienza umana e del linguaggio come mezzo per comprendere o perdersi. Louise, lentamente, comincia a svelare il mistero non solo delle parole degli alieni, ma della loro visione del mondo, una visione che sovverte tutto ciò che conosciamo.
Questa paura dell'ignoto che porta all'aggressività si manifesta a vari livelli nel film. Ogni governo, ogni nazione, è sospesa sull'orlo del conflitto, pronta a scatenare una guerra contro un nemico che non comprende, ma che percepisce come una minaccia solo perché diverso, altro. La lentezza della comunicazione, l'incapacità di comprendere immediatamente le intenzioni degli alieni, diventa una miccia pronta ad accendere il fuoco. È un riflesso chiaro e inquietante delle nostre stesse dinamiche umane. Di fronte al nuovo, allo sconosciuto, troppo spesso non ci fermiamo a cercare di capire, ma reagiamo con violenza, con la volontà di distruggere ciò che non possiamo decodificare.
Il film si muove lentamente, quasi con reverenza, attraverso questi temi. Non ci sono battaglie epiche, esplosioni o scontri violenti come si potrebbe immaginare in un classico film di fantascienza sugli alieni. Invece, c'è una tensione palpabile, una guerra psicologica e linguistica che si svolge sottovoce. Le conversazioni tra Louise e gli alieni – creature maestose e tentacolari chiamate Eptapodi – diventano l'arena in cui si gioca il destino dell'umanità. Il linguaggio, la comunicazione, la capacità di capire l'altro: tutto ciò si rivela cruciale non solo per il progresso della trama, ma per il messaggio centrale del film.
Il cuore di 'Arrival' risiede nella sua riflessione su come il linguaggio modella la nostra realtà. L'apprendimento del linguaggio degli Eptapodi da parte di Louise non solo le permette di comunicare con loro, ma altera il suo stesso modo di vedere il mondo. Il tempo diventa fluido, i confini tra passato, presente e futuro si dissolvono. In questo, il film ci chiede di considerare non solo le nostre paure, ma anche i limiti del nostro pensiero. Il linguaggio, come mezzo di comunicazione, è anche una gabbia che ci confina entro determinate strutture mentali. L'ignoto, in questo contesto, non è solo una minaccia esterna, ma una sfida interna alla nostra capacità di pensare e comprendere.
Eppure, l'aggressività non è solo una risposta umana all'ignoto; è una manifestazione del nostro desiderio di controllo. Vogliamo dominare ciò che non capiamo, perché in quel dominio speriamo di trovare sicurezza. 'Arrival' mette in luce l'inutilità di questo approccio. La bellezza del film risiede nel suo suggerire che l'unica vera risposta all'ignoto non è l'aggressione, ma l'apertura, l'ascolto, la pazienza. Louise rappresenta questo, una figura di calma in mezzo al caos, una mente aperta che cerca di costruire ponti invece di innalzare barriere. Il suo percorso è uno di scoperta, non solo del linguaggio alieno, ma del significato più profondo della vita stessa, dell'amore, del dolore e del sacrificio.
In 'Arrival', l'ignoto non è qualcosa da temere o da combattere, ma una porta verso una comprensione più ampia di noi stessi e del mondo. Ma quella porta, per essere aperta, richiede coraggio, empatia e la volontà di abbandonare le nostre difese. Di fronte all'ignoto, siamo tutti vulnerabili. E in quella vulnerabilità, paradossalmente, troviamo la nostra più grande forza.
link trailer ufficiale del film: https://www.youtube.com/watch?v=tFMo3UJ4B4g
paolo
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