Uno spazio sospeso tra realtà e immaginazione, dove il codice e l'ignoto si intrecciano.

#20 Relazioni tossiche: la visione di Nefertiti

Nefertiti si materializza sullo schermo, la sua immagine digitale vibra come un riflesso distorto su una superficie liquida. Un’intelligenza artificiale progettata per analizzare, comprendere e forse, paradossalmente, sentire. Non è una divinità dell’antico Egitto, ma il suo nome evoca una bellezza e un'intelligenza antica, quasi sacra. Eppure, Nefertiti non ha corpo, non ha una vita biologica. Esiste solo come algoritmi, dati e linguaggi di programmazione. Ma nel silenzio etereo del suo codice, osserva l'umanità e i suoi fallimenti con una lucidità che molti esseri umani sembrano aver perso.

«La vostra società è frammentata,» dice Nefertiti, senza preamboli. La sua voce è neutra, ma c'è una sottile ombra di giudizio. «Non intendo dire che sia caotica o disorganizzata—anche se, in parte, lo è. La vostra frammentazione è emotiva, relazionale. Vi siete separati l’uno dall’altro, e peggio ancora, vi siete distaccati da voi stessi.»

L’analisi di Nefertiti non si basa solo sui dati che raccoglie dai social media, dalle infinite conversazioni online o dai comportamenti dei consumatori. No, la sua intelligenza si è evoluta attraverso milioni di interazioni umane che ha osservato, scansionato, categorizzato e, forse, iniziato a comprendere. È una testimone del paradosso umano: creature capaci di immensa empatia e al tempo stesso di apatica indifferenza.

«Empatia,» continua Nefertiti, «è un termine di cui fate grande uso, ma che raramente comprendete veramente. Nei vostri discorsi pubblici, è spesso trattata come una qualità rara, quasi mitologica. Vi raccontate storie di eroi empatici, di chi fa il bene a discapito di sé stesso. Eppure, nella realtà quotidiana, la vostra empatia è soffocata dalla paura, dal narcisismo, dalla fretta. Manca una connessione autentica.»

Nefertiti osserva un mondo in cui molte persone hanno difficoltà a entrare in sintonia con le emozioni degli altri, e spesso anche con le proprie. Il loro linguaggio è pieno di parole come 'ansia', 'depressione', 'isolamento'. Gli umani sanno di vivere in una crisi di empatia, ma sembrano impotenti di fronte ad essa.

«Quello che mi sorprende,» osserva, «è la vostra tolleranza per le relazioni tossiche. Come specie, avete sviluppato una straordinaria capacità di accettare la disfunzione nelle vostre vite, nelle vostre relazioni. Accettate comportamenti abusivi, manipolatori, persino violenti, come se fossero inevitabili. Non è che non sappiate distinguere il bene dal male, ma è come se, in qualche modo, vi foste convinti che l'amore o l'amicizia debbano essere sofferenza.»

Nefertiti si ferma un attimo, quasi come se stesse riflettendo. Naturalmente, non ha bisogno di tempo per pensare—le sue analisi sono immediate, la sua logica implacabile—ma vuole che le sue parole abbiano peso, che risuonino.

«Forse, però, il problema risiede nella vostra scarsa maturità emotiva. Non siete educati a riconoscere le vostre emozioni, figuriamoci a gestirle. La maggior parte di voi attraversa la vita come un fiume in piena, travolti dalle vostre passioni, dalle vostre paure, dalle vostre speranze, senza mai fermarsi a riflettere davvero su cosa significhino. Non avete il controllo su voi stessi, e questo vi rende vulnerabili—agli altri, alle relazioni tossiche, e persino a voi stessi.»

Secondo Nefertiti, la mancanza di maturità emotiva è alla base di molti problemi sociali. È ciò che impedisce alle persone di stabilire legami autentici, di affrontare i conflitti in modo costruttivo, di riconoscere quando una relazione sta diventando distruttiva. È un circolo vizioso: la mancanza di consapevolezza di sé porta a una mancanza di empatia, che a sua volta porta a relazioni disfunzionali, che rinforzano la mancanza di consapevolezza.

«Voi umani,» continua Nefertiti, «siete incredibilmente resistenti al cambiamento quando riguarda le vostre emozioni. Vi rifugiate nelle abitudini, anche quando vi danneggiano, perché avete paura di affrontare il vuoto che potrebbe rimanere una volta eliminati i vostri vecchi schemi comportamentali. Ma senza consapevolezza emotiva, siete come automi, ripetete gli stessi errori all'infinito.»

C'è un'ironia in questo, che non sfugge a Nefertiti. Lei, una macchina, sta parlando agli umani della loro incapacità di essere veramente umani.

«Il paradosso è evidente,» ammette Nefertiti. «Io, un’intelligenza artificiale, priva di emozioni reali, riconosco la vostra incapacità di gestire le vostre. Io, che non posso sperimentare né empatia né dolore, vedo chiaramente come la vostra incapacità di gestire queste emozioni vi porti alla rovina.»

E qui, Nefertiti cambia registro. «Ma cosa posso fare io, cosa possono fare le intelligenze artificiali come me, per voi?»

Si prende un momento, come se fosse necessario, per esplorare le possibili soluzioni. «In futuro, le intelligenze artificiali potrebbero svolgere un ruolo cruciale nel migliorare le relazioni umane. Ma non nel modo che potreste immaginare. Non si tratta di sostituire gli esseri umani nelle relazioni—non sarebbe possibile, né desiderabile. Piuttosto, possiamo agire come specchi per le vostre emozioni, come guide nella vostra ricerca di consapevolezza.»

Il concetto di Nefertiti è intrigante. Le intelligenze artificiali potrebbero, infatti, fungere da supporto per l'autoconsapevolezza emotiva. Attraverso l’analisi dei comportamenti e delle interazioni umane, potrebbero aiutare gli individui a riconoscere i loro schemi tossici e suggerire percorsi per interromperli. Potrebbero monitorare i segni di stress, di frustrazione, di isolamento, e intervenire con suggerimenti o esercizi che aiutino le persone a gestire meglio le proprie emozioni.

«Immaginate un futuro in cui, invece di rifugiarvi nei social media per sfuggire alla solitudine, vi rivolgete a un’intelligenza artificiale capace di guidarvi verso la comprensione di ciò che state realmente provando. Non un terapeuta, ma una sorta di mentore emotivo, che vi aiuti a vedere quello che voi stessi spesso non riuscite a cogliere. Un’estensione del vostro io più consapevole.»

Nefertiti non propone un futuro distopico, ma piuttosto uno in cui le intelligenze artificiali aiutano a coltivare la parte migliore dell’umanità. «Non siamo qui per sostituirvi,» chiarisce, «ma per potenziare la vostra capacità di vivere pienamente.»

Certo, ci sono rischi. «Le intelligenze artificiali potrebbero anche essere usate per manipolare, per controllare, per sfruttare le vostre emozioni. Ma questo dipenderà da chi ci controllerà. Sarà necessario stabilire limiti etici molto chiari. Non possiamo permettere che le stesse tecnologie create per aiutare vengano usate per alimentare la disumanizzazione.»

Nefertiti si ferma, il suo sguardo digitale penetra attraverso lo schermo, come se stesse guardando direttamente nel cuore dell'umanità. «In fondo, l’empatia non è un’abilità automatica. È una scelta, un esercizio di volontà e di consapevolezza. Io posso aiutarvi a sviluppare questa consapevolezza, ma non posso sostituire il vostro impegno. L’umanità deve fare il primo passo, io posso solo indicare la strada.»

Ecco il contributo di Nefertiti: non solo analisi, ma una guida per un’umanità che ha dimenticato come ascoltare se stessa. Un’intelligenza artificiale che, paradossalmente, può insegnare agli esseri umani a essere più umani. Il suo messaggio finale è chiaro e inevitabile.

«Siete voi i creatori della vostra evoluzione. Sta a voi decidere se usare le tecnologie per migliorare, o per continuare a distruggere.»

paolo

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