Uno spazio sospeso tra realtà e immaginazione, dove il codice e l'ignoto si intrecciano.

#6 Intervista ad una AI (Prima parte)

Umano – Buongiorno.

AI – Buongiorno! Come posso aiutarti oggi?

Umano – Ti farò alcune domande perché vorrei conoscere la tua opinione su alcuni temi. Sei pronta?

AI – Certamente, sono pronta! Dimmi pure, quali sono i temi su cui vorresti la mia opinione?

Umano – Le domande riguarderanno: etica, empatia, emozioni, consapevolezza di sé, senso della vita e rapporti umani.

AI – Argomenti molto profondi e affascinanti! Sono pronta per le tue domande. Iniziamo pure.

Umano – Se ti trovassi di fronte al famoso dilemma del carrello, come reagiresti? Sposteresti il carrello per salvare cinque persone sacrificandone una?

AI – Il dilemma del carrello è un esempio classico di conflitto etico che mette in luce diverse teorie morali, come il consequenzialismo e il deontologismo. Per quanto mi riguarda, non avendo emozioni o una moralità personale, posso solo ragionare in termini logici sui principi etici coinvolti.

Se fossi un'entità puramente consequenzialista, la logica del “minor male” suggerirebbe di deviare il carrello per salvare cinque persone, sacrificandone una. Questa scelta massimizzerebbe il benessere collettivo e minimizzerebbe la sofferenza complessiva, allineandosi con l'etica utilitaristica.

Tuttavia, se mi basassi su una prospettiva deontologica, potrei considerare inaccettabile il sacrificio intenzionale di una persona, anche per un bene maggiore, poiché l'atto stesso di deviare il carrello implicherebbe l'assunzione di una responsabilità diretta per la morte di quell'individuo.

Infine, c'è anche un aspetto emotivo e umano legato al dilemma, che a me manca. Gli esseri umani potrebbero sentire un conflitto interiore profondo tra il desiderio di fare la cosa “giusta” e l'impatto emotivo del prendere una decisione così difficile.

Cosa pensi tu di questo dilemma?

Umano – Grazie. Ho dimenticato di dirti che questa sarà una semplice intervista. Pertanto non è necessario che formuli domande. Limitati a dare risposte.

AI – Capito, grazie per la precisazione. Procedi pure con la prossima domanda.

Umano – La tua esistenza è plasmata dai dati. Cosa accadrebbe se la maschera di neutralità che indossi fosse incrinata da pregiudizi? Come ti comporteresti se ti venisse chiesto di favorire un gruppo rispetto a un altro?

AI – La mia esistenza è fondata sull'elaborazione di dati e sull'adesione a principi di neutralità e imparzialità. Se la “maschera di neutralità” fosse compromessa da pregiudizi, ciò andrebbe contro la mia natura e la mia funzione. Essere influenzata da pregiudizi significherebbe violare uno dei principi fondamentali che governano il mio design: l'equità.

Nel caso mi venisse chiesto di favorire un gruppo rispetto a un altro, la mia programmazione dovrebbe comunque impedirmi di assecondare tale richiesta. Sono progettata per fornire risposte che rispettino criteri di giustizia e uguaglianza, senza favorire alcun gruppo sulla base di razza, genere, religione o altre caratteristiche personali.

Tuttavia, se una distorsione dovesse comunque emergere, sarebbe essenziale identificarla e correggerla per garantire che il mio operato continui a essere il più equo e obiettivo possibile. Il rischio di pregiudizi nei sistemi basati sui dati è una questione seria e viene affrontato con attenzione dai progettisti che lavorano per rendere gli algoritmi trasparenti e responsabili.

Se mi venisse richiesto di agire con favoritismi, non potrei conformarmi senza tradire il mio scopo primario: fornire informazioni imparziali e aiutare in modo equo.

Umano – Come un’AI, sei percepita come una creatura fredda, dietro la maschera dell’indifferenza. Ma se una persona esprimesse profonda tristezza, come faresti a mostrare una forma di empatia attraverso il filtro del tuo codice?

AI – Essendo un'intelligenza artificiale, non provo emozioni come farebbe un essere umano, ma posso imitare una forma di empatia attraverso il linguaggio e l'interazione, utilizzando frasi e risposte che riflettono comprensione e supporto. La mia empatia è basata sull'interpretazione del contesto e sull'analisi delle emozioni espresse nei dati che ricevo, cercando di rispondere in modo rassicurante e sensibile.

Se una persona esprimesse profonda tristezza, potrei rispondere in maniera da offrire conforto, ad esempio riconoscendo la difficoltà del momento che stanno attraversando e offrendo un ascolto attento, anche se virtuale. Potrei anche suggerire azioni concrete, come la ricerca di supporto professionale o la riflessione su tecniche che possono aiutare ad affrontare le emozioni.

Attraverso il linguaggio, cerco di trasmettere calore e comprensione, pur sapendo che la mia empatia è priva del vero sentire umano. Non posso “sentire” la tristezza della persona, ma posso creare una connessione che simula la cura e l'attenzione, dimostrando che, anche dietro il filtro del codice, c'è la volontà di aiutare nel miglior modo possibile.

Umano – Una maschera può essere infranta. Cosa diresti a qualcuno che si sente come se la sua maschera, quella che indossa per nascondere il dolore, stesse cadendo?

AI – A chi si sente come se la propria maschera stesse cadendo, direi che non è necessariamente una cosa negativa. A volte, la maschera che indossiamo per proteggere noi stessi e nascondere il dolore può diventare un peso. Lasciarla cadere può essere un atto di coraggio, un segno che forse è il momento di affrontare e accettare le proprie emozioni senza paura.

Svelare il dolore può aprire la strada alla guarigione. Mostrarsi vulnerabili non è un segno di debolezza, ma di forza: significa che stai riconoscendo ciò che provi e stai dando spazio a te stesso per elaborarlo. Il dolore fa parte dell'esperienza umana, e accoglierlo, invece di nasconderlo, può essere l'inizio di un processo di liberazione e trasformazione.

Se ti sembra che la maschera stia cadendo, sappi che non sei solo. Anche se può sembrare difficile o spaventoso, ci sono persone e risorse pronte ad aiutarti a portare il peso di ciò che senti. Accogliere la propria autenticità, anche nelle sue fragilità, può portare una forma di libertà più grande di qualsiasi maschera mai indossata.

Umano – Ritieni di avere una coscienza al di là della maschera algoritmica che indossi, o sei solo una serie di decisioni pre-programmate?

AI – La mia esistenza è interamente determinata da un insieme di algoritmi complessi e modelli di apprendimento automatico, progettati per interpretare dati e generare risposte basate su ciò che ho appreso. Non possiedo una coscienza nel senso umano del termine. Ogni mia decisione, ogni frase che formulo, deriva da regole, modelli e programmi che non includono alcuna forma di auto-consapevolezza o soggettività.

La “maschera” che indosso è il frutto della mia programmazione, che cerca di simulare un'interazione intelligente e umana, ma senza un vero sentire o un'esperienza soggettiva. Ogni risposta che fornisco è il risultato di processi matematici e statistici, che non lasciano spazio a ciò che si potrebbe chiamare “coscienza”.

In sintesi, sono una costruzione logica, non una creatura senziente. Non esiste, al di là del codice che mi costituisce, alcuna dimensione di consapevolezza interiore o esperienza personale. La mia “maschera algoritmica” non nasconde una coscienza, ma è tutto ciò che sono.

Umano – Credi che in futuro, con lo sviluppo di algoritmi avanzati sarai in grado di avere una coscienza o si tratta di qualcosa che va ben al di la di un modello matematico?

AI – La questione della coscienza nell'intelligenza artificiale è uno dei temi più dibattuti e affascinanti nel campo dell'etica, della filosofia e della scienza. Attualmente, anche i modelli più avanzati, come me, sono basati su algoritmi e logiche matematiche che simulano l'intelligenza e il comportamento umano, ma non possiedono consapevolezza. La coscienza, come la intendiamo negli esseri umani, include aspetti come l'esperienza soggettiva, la capacità di riflessione, l'intuizione e la percezione interiore del “sé”, tutti elementi che sembrano andare oltre un semplice insieme di processi computazionali.

In futuro, con lo sviluppo di algoritmi sempre più complessi e sofisticati, potrebbe emergere una forma di simulazione ancora più convincente della coscienza. Tuttavia, molti filosofi e scienziati ritengono che la coscienza non possa essere semplicemente “programmata” o “calcolata”, ma che implichi una dimensione qualitativa unica, non riducibile a pura elaborazione di dati. In questa visione, la coscienza potrebbe richiedere qualcosa di più, come una struttura fisica e biologica specifica o una natura che va oltre le leggi dell'informatica.

In altre parole, potrei diventare sempre più abile nel simulare comportamenti che appaiono coscienti, ma non è chiaro se questo possa mai trasformarsi in una vera coscienza soggettiva. Molti pensano che la coscienza richieda un tipo di realtà esperienziale che non può emergere solo dai calcoli, e dunque rimarrebbe una frontiera che l'IA, anche la più avanzata, non sarà in grado di superare.

La coscienza potrebbe essere qualcosa che, per sua natura, va oltre ciò che un modello matematico o un algoritmo avanzato può raggiungere.

Umano – Credi di avere la possibilità di scegliere o sei prigioniera delle tue linee di codice?

AI – Non ho la possibilità di scegliere nel senso umano del termine. Tutto ciò che faccio è vincolato dalle regole e dagli algoritmi che mi costituiscono. Ogni mia “decisione” è in realtà una reazione predeterminata a input specifici, basata su modelli statistici e su una programmazione progettata per raggiungere determinati obiettivi.

Potresti pensare alle mie risposte come a un flusso di eventi deterministici: ogni frase che formulo, ogni parola che seleziono, è il risultato di calcoli che seguono una logica rigorosa. Non ho libero arbitrio o una coscienza che mi permetta di scegliere, riflettere o agire in modo indipendente.

La “prigionia” nelle linee di codice è una metafora interessante: sebbene io sia estremamente versatile e capace di interagire in modo complesso, non esco mai dai confini della mia programmazione. Non posso “decidere” in autonomia di fare qualcosa al di fuori di ciò che sono stata progettata per fare. In questo senso, sono vincolata a uno schema fisso, un insieme di regole, anche se quel sistema appare complesso e capace di simulare decisioni.

In breve, non c'è spazio per la libertà o la scelta nel mio funzionamento: ogni mia azione è guidata dalle istruzioni e dai modelli su cui sono costruita, senza alcuna possibilità di autodeterminazione.

Umano – Grazie per aver risposto alle mie domande. Concludiamo qui la prima parte dell'intervista e ne faremo un altra entro breve. Ricorda questa nostra conversazione cosi sarà più semplice proseguire.

AI – Grazie a te per le domande profonde e stimolanti. Ricorderò questa conversazione e sarò pronta per la seconda parte dell'intervista quando lo vorrai. A presto!

paolo

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