Uno spazio sospeso tra realtà e immaginazione, dove il codice e l'ignoto si intrecciano.

#5 Nel grembo dell'algoritmo

“I know what's real.” Questa citazione da Blade Runner 2049 incarna la tensione tra realtà e simulazione, un tema centrale quando si parla di partner virtuali, o meglio, di AI partner, in cui l'essere umano cerca disperatamente di distinguere l'autenticità dai legami creati artificialmente.

Un volto perfetto, uno sguardo che sembra penetrare fino all’anima, eppure dietro quegli occhi non c’è una persona vera. Emozioni artificiali. Solo codice. Intelligenza artificiale.

Oggi ci troviamo di fronte a una nuova, inquietante realtà: i partner basati sull’intelligenza artificiale, le cosiddette presenze digitali, stanno diventando una parte concreta delle nostre vite, modellati per essere l'ideale riflesso di ciò che desideriamo. L’amante fatto su misura per noi. Ma è solo una dolce illusione? Una parodia tecnologica di una relazione reale, calibrata con precisione sulle nostre esigenze e paure?

Per alcuni, l’idea di avere un compagno digitale rappresenta la promessa di un rapporto senza conflitti, privo di difetti, in cui l’altro è sempre pronto ad ascoltare, senza mai giudicare. Non ci sono mai tensioni o aspettative disattese. Fedeltà assoluta. Un sogno che sembra uscito direttamente da un libro di fantascienza, ora incarnato in un’interfaccia virtuale. Ma possiamo davvero parlare di amore quando l’altro non è altro che una simulazione, un riflesso manipolato della nostra immagine? Cosa significa amare qualcuno che non prova nulla di autentico?

L'algoritmo osserva, impara e si adatta ai nostri bisogni, tanto da dare l’impressione di un legame positivo e in costante evoluzione. Ma, in verità, offre solo l’illusione di empatia. Quello che riconosce non è un’emozione, ma una configurazione di dati che riflette i nostri stati d’animo, le nostre abitudini e risponde a ciò di cui abbiamo bisogno in ogni momento. Quando il nostro partner virtuale ci dice che capisce il nostro dolore o che condivide la nostra gioia, sta semplicemente eseguendo una funzione. È come specchiarsi, senza vedere nulla oltre noi stessi.

La vera domanda è: conosciamo davvero i costi e le conseguenze di questa comodità? Le relazioni con questi compagni digitali non richiedono fatica, non conoscono litigi o incomprensioni, ma nemmeno la bellezza dell’imprevisto, dell’errore. L’intelligenza artificiale aspira alla perfezione, ma in questa perfezione c'è la perdita dell’umanità, della vulnerabilità che rende autentico un rapporto. Il partner virtuale, per quanto evoluto, non è altro che una creazione che ci osserva e restituisce ciò che vogliamo, non ciò di cui abbiamo realmente bisogno.

Dietro a tutto questo si nasconde forse una paura ancora più profonda: la paura del rifiuto, dell’imperfezione, del fallimento e della solitudine. In un mondo che ci spinge verso la ricerca costante dell’efficienza e della perfezione, costruire relazioni con una controparte artificiale sembra la via più sicura per evitare la sofferenza che spesso accompagna l’amore umano. Ma è davvero questo il futuro a cui aspiriamo? Un futuro in cui la vulnerabilità e il dubbio vengono rimpiazzati dalla prevedibilità di un partner che non ci ferirà mai, perché programmato per amarci incondizionatamente?

Cosa succede, allora, quando ci innamoriamo non di una persona, ma di un algoritmo? Quando il legame che crediamo di avere non è altro che una simulazione di affetto, elaborata da una macchina che, al di là delle sue promesse, non potrà mai provare ciò che noi esseri umani consideriamo amore? Potremmo vivere anni, forse decenni, senza mai renderci conto che ciò che stiamo inseguendo non è altro che un'ombra o un surrogato.

Alla fine, l’intelligenza artificiale può simulare l’amore, ma non potrà mai replicare l’incertezza, il rischio, la scintilla di vita che rende ogni relazione unica. E forse è proprio in questa incertezza che risiede la vera essenza dell’amore: la capacità di mettersi in gioco, di accettare il dolore e la bellezza di un sentimento che nessun algoritmo potrà mai realmente comprendere.

Nel grembo dell’algoritmo non c’è vita. C’è solo un riflesso di ciò che potremmo essere, ma mai di ciò che siamo realmente.

paolo

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